Mi sveglio alle sei di mattina con il negativo del cuscino stampato sulla guancia sinistra. Faccio colazione e vado in bagno. Alle sei e quaranta sono già in sella alla mia bici. Il treno è alle sei e cinquantadue (n°20751 da Mantova per Venezia). Mediamente impiego dai cinque ai sette minuti per raggiungere la stazione ; oggi ce ne ho messi sette. Quando arrivo il treno è già lì fermo come una quaglia tra i cespugli secchi della stazione deserta. Lancio la bicicletta sulla recinzione della ferrovia senza nemmeno chiuderla con il lucchetto rosso e corro verso l’accesso ai binari. A cinque metri dalla porta più vicina del treno, questo comincia a muoversi lentamente come per prendermi in giro e poi se ne va, senza di me nella sua pancia. Alzo gli occhi al cielo, calcio l’aria umida e guardo l’orologio della stazione: sono le sei e cinquanta, due minuti di anticipo rispetto all’orario segnato sul tabellone scolorito. Penso di approfittare dell’attesa per obliterare il mio abbonamento mensile nuovo di trinca ma, ovviamente, le stupide scatole gialle non ne volgiono sapere di funzionare. Così succede che mi ritrovo pure a dover ricercare il capotreno del diretto n°5563 delle sette e sedici. Lo trovo, mi scrive qualcosa a penna sul pezzettino di carta (del valore di cinquantotto euro e cinquanta centesimi) che gli ho appena consegnato fornendo le debite spiegazioni e poi mi siedo di fronte a lui.
Le mani del controllore cominciano a controllare l’interno del naso del controllore.
Le mani del controllore cominciano a controllare l’interno del naso del controllore.