Sono arrivato allo sportello della stazione. Faccio la fila: è il primo del mese e parecchi pendolari (sia studenti che lavoratori) aspettano come me di poter rinnovare l'abbonamento per i prossimi trenta giorni. Si sta, con i portafogli alla mano, senza pensare a niente di speciale, con lo sguardo fisso magari sulla fuga di qualche piastrella o sulle scarpe spaziali di qualche altro pendolare.
Arriva il mio turno e dico automatico con le labbra rivolte al microfono fuori uso sul vetro:
- Un abbonamento mensile da ottanta chilometri, per favore.
La bigliettaia dall'altro lato prende il piccolo cartoncino rettangolare e lo infila nella fessura metallica. Io, con la mano pronta ad estrarre la cifra che conosco per abitudine, le chiedo:
- Quant'è?
- Sessanta e trenta centesimi.
- Scusi, ma non erano cinquantotto e cinquanta il mese scorso?
- Sì, ma i prezzi adesso sono aumentati.
- E da quando?
- Da oggi.
- Ah, capisco... Quanto ha detto che era per l'abbonamento?
- Sessanta e trenta centesimi.
- Ma sono aumentati solo gli abbonamenti o anche i biglietti?
- Anche i biglietti.
- Mm.
Passo i sessanta euro e i trenta centesimi nella fessura metallica sotto al vetro avvertendo all'improvviso una schiacciante impotenza nei confronti di situazioni di questo genere. La bigliettaia introversa sta zitta e incassa il denaro.
Giro i tacchi (anche se indosso sempre scarpe basse)e me ne vado smadonnando sottovoce fuori dall'atrio per obliterare quello stupido cartoncino dal prezzo esageratamente esorbitante. Mi sento molto "pecora-nel-gregge".
Salgo poi su una littorina vecchia di trent'anni arrivata in stazione con un ritardo di un quarto d'ora, che puzza di gasolio e scalda come un barbeque in giardino il giorno di ferragosto. E mi chiedo: a cosa sarà mai servito pagare un euro e ottanta centesimi in più se il servizio è rimasto uguale a prima?
Questo succedeva il primo di settembre, venerdì mattina.
Ieri sera, invece, tornavo dal lavoro con il treno n°2245 per Bologna. Arrivato a Monselice alle 18:55 avrei dovuto attendere una ventina di minuti per prendere il treno regionale n°20758 per Mantova delle 19:18. Solitamente il treno è già fermo al binario e non devo fare altro che salire e attendere la partenza. Ieri no. Il treno non c'era e il treno precedente, il n°5580 delle 18:53, era ancora fermo al binario quattro quando avrebbe essere dovuto partire ben prima del mio arrivo. Si attende tutti sulla banchina, ovviamente non c'è nessuna voce agli altoparlanti a dare conforto o per lo meno informazioni sul ritardo. Voci di corridoio affermavano che il treno 20758 era fermo sui binari, rotto, prima della stazione e che quindi la linea (a binario unico) era bloccata per un tempo indeterminato. Il capo del treno 5580 ci fa sapere che nel piazzale della stazione c'è una corriera sostitutiva pronta a partire. Ci dirigiamo tutti verso il mezzo che si rivela essere un piccolo bus turistico probabilmente recuperato a buon mercato da qualche stato dell'ex blocco sovietico. Prendiamo tutti posto all'interno del veicolo sperando e pregando di non impiegare un'ora per percorrere i dieci chilometri di strada statale che a quell'ora sarà densa di traffico. Non appena tutte le terga di tutti si sono appoggiate sui sedili color verdino, sale sul trabiccolo un omino delle ferrovie che ci avverte che il treno al binario quattro, quello dal quale eravamo appena scesi, sarebbe stato pronto a partire. Tutti ci rimettiamo in piedi, di nuovo, terga che si staccano dagli interni del carrozzone, altra transumanza. Il treno delle diciotto e cinquantatrè parte alle diciannove e trenta.
Nella mia testa, mentre la littorina vecchia di trent'anni arranca sui binari, penso ancora a cosa sia servito alzare il prezzo degli abbonamenti e dei biglietti.
Arriva il mio turno e dico automatico con le labbra rivolte al microfono fuori uso sul vetro:
- Un abbonamento mensile da ottanta chilometri, per favore.
La bigliettaia dall'altro lato prende il piccolo cartoncino rettangolare e lo infila nella fessura metallica. Io, con la mano pronta ad estrarre la cifra che conosco per abitudine, le chiedo:
- Quant'è?
- Sessanta e trenta centesimi.
- Scusi, ma non erano cinquantotto e cinquanta il mese scorso?
- Sì, ma i prezzi adesso sono aumentati.
- E da quando?
- Da oggi.
- Ah, capisco... Quanto ha detto che era per l'abbonamento?
- Sessanta e trenta centesimi.
- Ma sono aumentati solo gli abbonamenti o anche i biglietti?
- Anche i biglietti.
- Mm.
Passo i sessanta euro e i trenta centesimi nella fessura metallica sotto al vetro avvertendo all'improvviso una schiacciante impotenza nei confronti di situazioni di questo genere. La bigliettaia introversa sta zitta e incassa il denaro.
Giro i tacchi (anche se indosso sempre scarpe basse)e me ne vado smadonnando sottovoce fuori dall'atrio per obliterare quello stupido cartoncino dal prezzo esageratamente esorbitante. Mi sento molto "pecora-nel-gregge".
Salgo poi su una littorina vecchia di trent'anni arrivata in stazione con un ritardo di un quarto d'ora, che puzza di gasolio e scalda come un barbeque in giardino il giorno di ferragosto. E mi chiedo: a cosa sarà mai servito pagare un euro e ottanta centesimi in più se il servizio è rimasto uguale a prima?
Questo succedeva il primo di settembre, venerdì mattina.
Ieri sera, invece, tornavo dal lavoro con il treno n°2245 per Bologna. Arrivato a Monselice alle 18:55 avrei dovuto attendere una ventina di minuti per prendere il treno regionale n°20758 per Mantova delle 19:18. Solitamente il treno è già fermo al binario e non devo fare altro che salire e attendere la partenza. Ieri no. Il treno non c'era e il treno precedente, il n°5580 delle 18:53, era ancora fermo al binario quattro quando avrebbe essere dovuto partire ben prima del mio arrivo. Si attende tutti sulla banchina, ovviamente non c'è nessuna voce agli altoparlanti a dare conforto o per lo meno informazioni sul ritardo. Voci di corridoio affermavano che il treno 20758 era fermo sui binari, rotto, prima della stazione e che quindi la linea (a binario unico) era bloccata per un tempo indeterminato. Il capo del treno 5580 ci fa sapere che nel piazzale della stazione c'è una corriera sostitutiva pronta a partire. Ci dirigiamo tutti verso il mezzo che si rivela essere un piccolo bus turistico probabilmente recuperato a buon mercato da qualche stato dell'ex blocco sovietico. Prendiamo tutti posto all'interno del veicolo sperando e pregando di non impiegare un'ora per percorrere i dieci chilometri di strada statale che a quell'ora sarà densa di traffico. Non appena tutte le terga di tutti si sono appoggiate sui sedili color verdino, sale sul trabiccolo un omino delle ferrovie che ci avverte che il treno al binario quattro, quello dal quale eravamo appena scesi, sarebbe stato pronto a partire. Tutti ci rimettiamo in piedi, di nuovo, terga che si staccano dagli interni del carrozzone, altra transumanza. Il treno delle diciotto e cinquantatrè parte alle diciannove e trenta.
Nella mia testa, mentre la littorina vecchia di trent'anni arranca sui binari, penso ancora a cosa sia servito alzare il prezzo degli abbonamenti e dei biglietti.
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